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Imu – Una Battaglia Vinta Da Confabitare

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Concessa l’esenzione a due coniugi che vivono in due città

Una sentenza che crea un precedente e che riguarda una tassa, l’imposta municipale unica, meglio conosciuta come Imu. Poco amata (come tutte le tasse) è il tributo istituito dal Governo Monti nella manovra Salva-Italia del 2011, è comunale e riguarda il possesso dei beni immobiliari. Delle case insomma. 

Ma lo sappiamo bene tutti che cos’è. 

Addentrandoci nel meccanismo delle esenzioni dal pagamento dell’Imu ecco il “caso particolare”: due coniugi che vivono in due comuni diversi perché, per ragioni di lavoro sono distanti dal lunedì al venerdì e che si ricongiungono (in una delle due abitazioni) nel fine settimana e nei giorni festivi. 

E che adesso vedranno un risarcimento da parte del Comune di Bologna per quel doppio pagamento: così è stato deciso ed è il presidente di Confabitare Alberto Zanni a chiarire tutta la storia, visto che fra l’altro aveva chiesto direttamente all’Amministrazione di sospendere le quote. 

Nella normativa si precisa che con due abitazioni nello stesso Comune la famiglia avrebbe avuto diritto a una sola esenzione. La formula però aveva subito generato il problema delle famiglie che invece vivono in case di proprietà in Comuni diversi. 

Sul punto si è accesa una battaglia tra il Mef, che nelle sue istruzioni (fin dalla circolare 3/2012 delle Finanze) ha chiesto di esentare entrambi gli immobili perché il limite fissato dalla norma riguardava la doppia casa nello stesso Comune, e la giurisprudenza attivata dai ricorsi comunali, che arrivata in Cassazione a prevedere l’opposto negando a tutti il beneficio. 

La soluzione tentata per chiudere il problema arriva con il decreto fiscale dell’anno scorso, il 146/2021, che propone l’idea di imporre l’Imu solo a una delle due abitazioni. Senza però dei criteri. 

Ai coniugi si chiede di “scegliere” quale immobile esentare. “Un pasticcio” per Confabitare e non solo per loro. 

L’assenza di parametri a cui ancorare la scelta finisce così “per legittimare il comportamento strumentale di chi, fatti due calcoli, esclude dall’Imu la casa dal valore catastale più alto, sia l’esenzione parziale sia la linea rigida della Cassazione penalizzano infatti le coppie sposate o unite civilmente. 

Perché quelle che non si sono preoccupate di cementare con un atto ufficiale la propria vita affettiva possono tenere tranquillamente al riparo dall’Imu entrambe le case” spiega Zanni. Zanni, ci spiega cosa è accaduto? 

Come ci riassume questa vicenda dell’esenzione dell’Imu? “La Consulta ha chiuso il caso dell’Imu per i coniugi che vivono in due Comuni diversi, attribuendo a entrambi gli immobili l’esenzione, e offre una lezione che va molto oltre la vicenda specifica. 

Capita sempre più spesso nell’Italia dell’Alta velocità e del lavoro che si prende dove si trova, che le famiglie vivano in case di proprietà in Comuni diversi, ricongiungendosi per esempio nei fine settimana. Prima le famiglie avevano diritto ad una sola esenzione, fatto insostenibile per il quale ci siamo battuti”.  

E’ rimasto sorpreso da questa sentenza? “Speravo in questo risultato perché ci abbiamo lavorato tanto, ma questi risultati non vanno mai dati per scontati. Quando ho saputo l’esito della Consulta sono rimasto veramente sorpreso. 

Si tratta di una sentenza rivoluzionaria perché cambia incredibilmente le carte in tavola”

Qual è la lezione a cui fa riferimento? Cosa si impara da questa decisione della Consulta?  

“La lezione per i Comuni è quella di essere più prudenti prima di fare gli accertamenti. 

Questo è un consiglio che noi come Confabitare, Associazione dei Proprietari Immobiliari, avevamo dato per tempo al Comune di Bologna, che non ci ascoltò e adesso si trova a dover restituire 500.000 euro ai contribuenti, ed è una fetta di bilancio che se ne va”. 

Cosa è stato deciso e perchè sarà da “esempio”. La Consulta, nella sentenza 209 e redatta da Luca Antonini, ha chiuso il controverso caso dell’Imu per i coniugi che vivono in due comuni diversi, attribuendo a entrambi gli immobili l’esenzione: “Vicenda che è un esempio perfetto di come norme e giurisprudenza riescano ad avvitarsi in paradossi insostenibili. 

Tutto nasce dal fatto che la normativa Imu, scritta dal governo Monti nel “Salva Italia” (DI 201/2011, articolo13), ha identificato come “principale”, esente dall’Imu, l’abitazione in cui ‘il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente'” spiegano da Confabitare Bologna. Coppie sposate e coppie non sposate, stesso comune o comuni diversi. “L’esenzione potrebbe riguardare dunque anche le case nello stesso Comune: a patto ovviamente di riuscire a dimostrare il requisito della “dimora abituale” Per arrivare alle sue conclusioni la sentenza sottolinea come la tutela della famiglia sia sviluppata dalla Costituzione con “un’attenzione che raramente si ritrova in altri ordinamenti”. 

E spiega che quindi la penalizzazione fiscale delle coppie sposate viola ben tre articoli della Carta: il 3 sull’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il 31 che chiede alla Repubblica di «agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia» e il 53 sulla «capacità contributiva» che deve misurare il contributo di ciascuno alla spesa pubblica. 

Principi così forti non possono essere messi in discussione dall’obiettivo di contrastare l’elusione attuata dai tanti che hanno trasferito la residenza nella casa di vacanza per sottrarla all’Imu pur continuando a vivere in città. Come stanare chi cerca di raggirare la legge per un vantaggio economico. “Per stanarli, spiega la sentenza, è sufficiente ai Comuni controllare i consumi di elettricità, gas e acqua, com’è peraltro permesso dal decreto sul federalismo fiscale municipale (DIgs 23/2011, articolo 2, comma 10); senza bisogno di mettersi la Costituzione sotto i piedi”.

Articolo estratto dal Periodico Confabitare

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Analisi della nuova proposta di Regolamento europeo sul trattamento dati negli affitti brevi

Al fine di armonizzare i metodi di raccolta, trattamento e diffusione dei dati relativi alle locazioni brevi e
turistiche, l’Unione europea ha di recente proposto un nuovo Regolamento che, nelle sue intenzioni, dovrà
modificare quello del 2018 (Regolamento Ue 2018/1724). Lo scopo è senz’altro quello di dotarsi di regole
comuni e far sì che non vi siano difformità da paese a paese. Che, a seconda dei casi, possono comportare
aggravi di adempimenti burocratici, ma anche spazi per l’evasione fiscale.
I contenuti del testo con il nuovo Regolamento, quindi, la Unione europea intende uniformare le modalità di registrazione dei locatori e delle loro unità immobiliari destinate al mercato degli affitti brevi e turistici, mediante un sistema di registrazione nazionale che consenta di ottenere uno specifico numero unico di registrazione. 

Da li in poi toccherà (o dovrebbe) alle piattaforme online condividere con le pubbliche autorità i dati concernenti i pernottamenti e i dati dei conduttori – di base almeno una volta al mese – il tutto in modalità automatica e con assegnazione di un ulteriore numero (di registrazione) per ogni posizione.
La proposta di Airbnb come in tutte le proposte di riforma, però, anche in questo caso c’è chi «alza barricate» – a prescindere che ciò abbia senso o utilità – e chi, invece, invoca maggiori previsioni di adempimenti da adottare (in questo caso maggiori restrizioni, che sarebbero una pura follia e dopo vedremo perché). Fra le molte osservazioni – spesso anche decisamente fuori luogo e sopra le righe – di un certo interesse appare la posizione assunta da uno dei più famosi portali, Airbnb, che ha chiesto che la Commissione Ue adotti meccanismi che portino a una maggiore integrazione, con lo scopo di arrivare alla creazione di un unico punto di accesso a livello comunitario, così da agevolare e semplificare la raccolta e la condivisione dei dati. E la cosa appare assolutamente logica e utile. 

A questo punto, per meglio inquadrare il contesto in cui si inseriscono, sia a livello comunitario come nazionale, questi contratti, appare utile qualche considerazione di «politica
generale» sul settore delle locazioni brevi e turistiche.
L’ambito di intervento del nuovo Regolamento Ue 
L’affitto a breve termine di alloggi per far fronte a necessità sia turistiche che, sempre più dopo il Covid, per
lavoro, sono state individuate – dalla Ue – come un comparto ormai preponderante e irrinunciabile del
settore, al punto da arrivare a rappresentare, secondo stime europee, almeno un quarto del totale di
alloggi offerti per finalità turistiche o, comunque, brevi. 

Un vero e proprio boom al quale hanno contribuito, in modo forse determinante, i portali e le piattaforme online, al punto da identificare in molti casi questo tipo di locazioni con il nome di uno dei più famosi, forse il più famoso, portale. Tutto ciò ha portato -in molti Paesi, Italia inclusa – a un proliferare di norme e regolamenti, sia a livello nazionale che locale, con lo scopo da un lato di garantire una certa trasparenza sugli immobili affittati per mezzo delle piattaforme, dall’altro al fine di combattere l’evasione fiscale, purtroppo arrivata, in questo settore, a livelli a volte inimmaginabili.

È innegabile, però, che l’aumento di norme e di adempimenti burocratici comporti quasi sempre un
aggravio sia a carico delle stesse piattaforme che dei proprietari privati che a esse si rivolgono per accedere
al mercato degli affitti brevi. 

E se ciò vale per i portali nazionali, figuriamoci per quelli che operano a livello mondiale.

La complessità della situazione

Va detto, però, a onestà di un dibattito serio e scevro da propaganda politica, che anche per le pubbliche
autorità le cose non sono semplici. Infatti, sono sempre più quelle che incontrano grandi difficoltà
nell’ottenere sia i dati in quanto tali, sia avere la garanzia che questi siano affidabili e corretti, perché
diversamente si creerebbero diversi disservizi e difficoltà anche previsionali in ordine a un comparto che
richiede, a vario titolo, non pochi «servizi pubblici e privati» collaterali. Va detto, a onor del vero e come
correttamente ha rilevato il nostro ministero del Turismo, che anche le difficoltà in capo alle pubbliche
autorità di molti Paesi non sono poche, sia a causa di sistemi di registrazione adottati che non sempre sono
efficienti (quando non divergono l’uno dall’altro anche in modo rilevante), che di un complessivo quadro
normativo che in molti casi è carente se non del tutto assente. Tutto ciò da un lato complica «la vita» delle
piattaforme e dei proprietari, dall’altro aumenta la scarsa trasparenza sulle reali transazioni nel comparto. E
si sa, dalla scarsa trasparenza all’evasione fiscale (e, magari, al riciclaggio) il passo può essere molto breve.
Il «caso Portogallo»
Il Portogallo sta vivendo (ma a essere sinceri non solo lui) un periodo di difficoltà sul piano del reperimento
di alloggi per scopi residenziali diciamo «tradizionali». Una carenza che sta spingendo il Governo ad affittare
sul mercato privato un certo numero di alloggi – per almeno un quinquennio da mettere poi sul mercato a
uso delle famiglie (e non necessariamente tutte appartenenti a fasce di disagio). Sono forse finite le case in
affitto in Portogallo? No. E infatti, se si guarda, ad esempio, a Lisbona, si scopre che le case sfitte
decisamente non mancano, sono i canoni «accessibili», invece, a essere quasi del tutto scomparsi. Infatti, a
fronte di un Paese che vede aumentare sempre più il numero di persone e famiglie che faticano ad arrivare
a fine mese (o che, semplicemente, devono essere attente alle proprie spese), si assiste a una vera e
propria «bolla» degli affitti. Tutto ciò – secondo il Governo Costa – a causa dell’eccessivo numero di alloggi
immessi sul mercato degli affitti brevi che, avendo una redditività complessiva maggiore, stanno
comportando una forte riduzione del numero di alloggi liberi da destinare ad affitti tradizionali. E si sa,
quando l’offerta cala, i prezzi salgono e se, come nella capitale, si assiste a un aumento complessivo intorno
al 35-37% del prezzo degli affitti (situazione aggravata dall’incremento del tasso di inflazione che, in
Portogallo, ha raggiunto e superato l’8%), diventa chiaro che si tratta di un problema sociale che, se non
gestito correttamente, potrebbe anche sfociare in un problema di ordine pubblico. La soluzione pensata
non sarà magari la migliore, ma il Governo portoghese ritiene (a torto o a ragione) che da un lato vadano
limitate le licenze per alloggi ad uso turistico nelle città (mentre non dovrebbero esserci problemi nelle aree
rurali meno popolate), dall’altro vada posto un limite al cosiddetto «baratto della Golden Visa», cioè della
norma che prevede il rilascio del passaporto (che è europeo non dimentichiamolo) a cittadini
extracomunitari in cambio di investimenti nel settore immobiliare. Una norma – per molti – di dubbia
legittimità sul piano dei rapporti comunitari, che appare complessa da adottare, ma che il Governo è
seriamente intenzionato ad applicare (anche, nel caso, contro le decisioni della Ue). Forse non sarà né la
migliore né l’unica delle soluzioni, ma da lì probabilmente vogliono partire a fare qualcosa di concreto.
Il «caso Italia»
Il nostro Paese si trova in una strana situazione, perché da un lato il nostro sistema di raccolta e diffusione
dei dati appare essere decisamente in linea con la nuova proposta Ue, dall’altro abbiamo un quadro
normativo quanto mai disomogeneo, carente e confuso. A parte un «passaggio fugace» nella legge 431/98
e nel successivo Dm 1/2017 che ha recepito l’Accordo nazionale sindacale del 25 ottobre 2016 (da cui
hanno poi tratto spunto gli Accordi sindacali in sede locale), in Italia non esiste una vera e propria norma di
legge (dal punto di vista civilistico) sulle locazioni brevi. L’unica vera norma – peraltro avente finalità
esclusivamente fiscale – è quella introdotta dal Decreto legge 50/2017 (convertito nella legge 96/2017) che
ha introdotto, appunto, una specifica disciplina fiscale da applicare ai canoni di questo tipo di contratto e
che ha previsto altresì specifici compiti di comunicazione dei dati (oltre a introdurre la figura del sostituto

d’imposta in capo agli intermediari per la raccolta delle relative imposte). L’articolo 4 del Decreto considera
locazioni brevi i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi
inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali,
stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti
che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici,
mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da
locare. Quindi, una norma a valenza prettamente fiscale che colma – come purtroppo spesso accade – un
vuoto legislativo. Se a ciò si aggiunge il caos dei vari Regolamenti amministrativi regionali e locali, ecco che
si comprende come mai il sistema sfugge a molti controlli e favorisce, in molti casi, l’evasione fiscale (non
solo in Italia peraltro).
La proposta di Confabitare
Durante l’audizione avanti la quarta Commissione del Senato dello scorso 9 marzo 2023, presieduta dal
senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, abbiamo svolto una serie di considerazioni e proposte che, questo è il
nostro auspicio, dovrebbero essere poste a base sia di ogni discussione comunitaria, che di una revisione
del nostro sistema legislativo. Ecco, in sintesi, le nostre ipotesi:
1)qualsiasi normativa – nazionale o comunitaria che sia – deve essere sempre rivolta ad aiutare i proprietari
corretti e rispettosi delle norme di legge, senza aggravarli di oneri fiscali e burocratici che potrebbero
compromettere o, comunque, limitare un comparto fondamentale per l’economia del nostro Paese;
2)nel valutare il nuovo Regolamento si abbia sempre come «punto di riferimento» lo Statuto del
contribuente e la tutela dei dati personali nel pieno e rigoroso rispetto delle norme previste dal Gdpr;
3) si chiede la convocazione di un «Tavolo nazionale di concertazione» delle associazioni maggiormente
rappresentative a livello nazionale della proprietà e dell’inquilinato, al fine di valutare la possibilità di
adottare comuni linee guida di riforma del settore;
4) si ritiene opportuno prevedere al più presto la revisione dell’accordo nazionale intersindacale del 25
ottobre 2016, allargato al comparto turismo, al fine di provare a uniformare – dal punto di vista civilistico –
la disciplina delle locazioni brevi e turistiche all’interno della normativa civilistica. Confabitare ha dato la
propria disponibilità a collaborare a tutti i livelli istituzionali per poter giungere a un sistema uniforme di
quello che è uno dei più importanti (se non, forse, il più importante) settore economico del nostro Paese.
Disponibilità tutt’altro che formale dato che da subito ci siamo attivati per predisporre un documento
programmatico da sottoporre a tutti gli interlocutori interessati al tema.

Si ringrazia: Luca Capodiferro – Presidente centro studi giuridico Confabitare

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Le Ragioni Di Una Scelta E Un Impegno Profuso Sempre Con Costanza

Il tempo si sa è galantuomo. 

E in un mondo in cui tutti urlano le proprie ragioni”, ammesso che ne abbiano, Confabitare ha intrapreso, senza alcuna incertezza, la strada dell’impegno serio e costante, senza urla e slogan di facciata. 

Tempo perso. 

Assolutamente no, visti i risultati! Magari il mondo dei Media ancora fatica a capire la differenza fra “gridare e fare”, forse sui social contano più i “like” dei fatti. Forse. 

Ma forse il mondo, quello vero, quello in cui tutti noi viviamo ogni giorno, è un’altra cosa. E a noi piace pensare che, a dispetto della vulgata, la serietà ripaghi. Magari col tempo. Ma ripaga!

Nel corso del difficile biennio 2020-2021 Confabitare – in mezzo ai soliti noti che “gridavano” sui social e nei media ma che, alla prova dei fatti, non sono quasi mai pervenuti – ha scelto di farsi portavoce con il Governo (Conte prima, Draghi poi) e le varie Istituzioni pubbliche, delle istanze della proprietà immobiliare, con lo scopo di collaborare con loro al miglioramento delle norme di riferimento del settore. Un impegno serio, costante, il nostro, portato avanti senza troppi clamori, ma nella certezza che la serietà, in qualche modo, avrebbe pagato. 

E se il Governo Conte ha scelto la via della non collaborazione e del “silenzio assordante” alle istanze ed alle sofferenze della proprietà immobiliare (in molti casi dallo stesso causate), il Governo Draghi ha, invece, decisamente “virato la barra”. 

E a chi è fermamente convinto che le battaglie si facciano sempre e solo gridando sui social, noi rispondiamo con i fatti: è grazie solamente a Confabitare se, con l’accoglimento in pieno della proposta di emendamento predisposta dal nostro Centro Studi, il Governo Draghi ha riavviato, a partire dal 1° luglio 2021, l’esecuzione degli sfratti, così come ha ritenuto – in materia di PNRR – di ascoltare solo coloro che avevano dimostrato serietà e impegno. Come Confabitare, appunto.  

E se il 2021 è stato l’anno della ripartenza dopo la pandemia, il 2022 è iniziato con molte speranze prima, con un’autentica tragedia poi: la guerra in Ucraina, infatti, oltre a morte e distruzione, ha creato una spaventosa crisi dei prezzi e, soprattutto, una selvaggia speculazione sui mercati dell’energia. 

Una situazione che ha, inevitabilmente, colpito un settore quello immobiliare già fortemente in crisi dopo il Covid, mettendo in ginocchio molte attività come numerose famiglie. 

Una crisi che, inevitabilmente, colpisce anche le locazioni, perché sempre più sono le persone o le attività che non possono far fronte al calo di ordini o vendite e agli affitti e, soprattutto, alle spese impazzite, creando un sistema che, nel 2023, se non cambieranno gli scenari, potrebbe anche sfuggire ad ogni controllo. 

Il danno per i locatori, anche in questo caso, sarebbe enorme anche perché, non dimentichiamolo, spesso sono persone che con quel reddito ci vivono. 

Eppure, ci piace ricordare come ancora una volta siano stati e sono i proprietari immobiliari a dover “calmierare” – spesso rinunciando a parte degli affitti per garantire “ossigeno” ai conduttori – un mercato che è a rischio implosione e nel quale, purtroppo, l’intervento pubblico troppo spesso è finalizza to unicamente a fare di loro l’unico “welfare” del settore. 

Una vera e propria socialità pubblica, sì, ma a spese solo di alcuni privati. In questa seconda parte del 2022 abbiamo affrontato, non senza timori e incertezze, una delle elezioni più strane che il nostro Paese abbia visto negli ultimi trent’anni. 

Nessuno le voleva, ma sembra che tutti, o quasi tutti, ci abbiano messo del loro per far cadere il Governo Draghi, con vivo sconcerto di tutti, non solo degli italiani. 

E se è cambiato il Governo e buona parte del Parlamento, a livello istituzionale, quello che non è affatto cambiato è l’impegno, serio, costante ed infaticabile, di Confabitare. 

E cosi, mentre ancora fervevano i lavori di preparazione della nostra convention annuale, abbiamo avviato i primi contatti con il Governo Meloni, come sempre con “zero chiacchiere” e molte proposte di collaborazione e con iniziative innovative, come ad esempio la richiesta di istituire il Vice Ministro per la Casa, piuttosto che la necessità da noi evidenziata di convocazione sia di un tavolo delle Organizzazioni sindacali della proprietà e dell’inquilinato, che riveda ed aggiorni l’Accordo nazionale del 25 ottobre 2016, sia un tavolo con le principali Organizzazioni di categoria del mondo produttivo e commerciale, per studiare insieme le possibili misure di contrasto alla crisi degli affitti commerciali. Insomma, ancora una volta fatti concreti. 

Ci ascolteranno? Seguiranno i nostri consigli? Non lo sappiamo e non sta a noi dirlo. Quello che è certo è che Confabitare non si ferma e “lotterà con tutte le sue forze” per essere sempre al fianco dei proprietari immobiliari.

Articolo estratto dal Periodico Confabitare

Si ringrazia

Avv. Luca Capodiferro

Presidente centro studi

Confabitare

 

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Confabitare ha partecipato all’audizione sul nuovo regolamento Ue sugli
affitti brevi

Confabitare- Associazione proprietari immobiliari ha partecipato all’audizione presso la IV Commissione
Politiche dell’Unione europea del Senato presieduta dal senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro
degli affari Esteri, fatta sulla proposta di regolamento relativo alla raccolta e alla condivisione dei dati
riguardanti i servizi di locazione di alloggi a breve termine. L’obiettivo della proposta era di armonizzare e
migliorare la generazione e la condivisione dei dati relativi alle locazioni di alloggi a breve termine in tutta
l’Unione europea e di aumentare la trasparenza nel settore.
Il Presidente nazionale di Confabitare. Alberto Zanni, commenta in questo modo: «la normativa dovrebbe
aiutare i proprietari corretti e rispettosi delle norme di legge, senza gravarli di oneri fiscali e burocratici che
potrebbero limitare un comparto fondamentale per l’economia del paese. Spero che il nuovo regolamento
sia valutato nel pieno e rigoroso rispetto delle norme del Gdpr e dello Statuto del Contribuente>>. Luca
Capodiferro, presidente del Centro studi di Confabitare e rappresentante di Confabitare durante
l’audizione, ha sottolineato l’importanza di essere cauti nel regolamentare le locazioni brevi turistiche per
evitare fenomeni simili a quelli presenti nella telefonia. «Per quanto riguarda la gestione dei dati –
commenta Capodiferro – ho auspicato l’allineamento della normativa europee, al fine di uniformare le
regole tra i vari paesi. Tuttavia, ho sottolineato la necessità di essere cauti, al fine di evitare comportamenti
scorretti da parte di chi intende aggirare le regole. Come esempio, ho fatto riferimento al fenomeno della
telefonia, dove a volte, nonostante le regole stringenti imposte ai proprietari e ai portali, qualcuno apre un
call center su un portale non autorizzato, accaparrandosi i dati degli utenti per poi utilizzarli a proprio
vantaggio. In definitiva, ho ribadito l’importanza di evitare questi comportamenti>>.

Dibattito a livello europeo Capodiferro riporta che <<durante l’incontro c’è stato molto fermento e non ci siamo concentrati solo sugli aspetti legati al trattamento dei dati, ma abbiamo anche affrontato il tema caldo delle locazioni turistiche brevi. 

Questo perché si tratta di un settore che richiede una regolamentazione>>. 

<< Spero in una semplificazione delle procedure burocratiche e una riduzione degli oneri fiscali a carico dei proprietari- aggiunge Alberto Zanni- al fine di favorire la crescita del settore turistico e garantire maggiore competitività rispetto ad altri paesi europei, visto che la situazione regolamentare degli affitti brevi in Italia è ancora molto frammentata e disomogenea: alcuni regioni Italiane hanno adottato leggi e regolamenti specifici per regolamentare le attività di locazione turistica, stabilendo requisiti per la sicurezza e la qualità degli alloggi, nonché procedure per la registrazione e la tassazione delle locazioni. Tuttavia le regole e le normative possono variare notevolmente a seconda della regione o del comune in cui si trova l’alloggio>>. <<Il
fenomeni degli affitti brevi- continua Capodiferro- sta causando problemi in importanti città come Venezia,
ma anche all’estero, ad esempio in Portogallo. 

Queste locazioni turistiche possono rivitalizzare alcune zone, ma stanno anche aumentando i prezzi degli affitti tradizionali in modo esponenziale. 

Questo fa sì che i proprietari chiedano affitti troppo elevati, rendendo impossibile pe molte persone pagare l’affitto. 

Se i proprietari non riescono a trovare inquilini a breve termine, le case rimangono vuote o, se i prezzi salgono troppo, vengono utilizzate solo per il turismo, snaturando l’urbanizzazione. 

Questo porta anche al fatto che le persone non possono trovare una casa e sono costrette a lasciare la città>>.
<<Il settore turistico è uno dei più importanti per l’economia del Paese e non si può pensare di danneggiarlo con norme assurde. 

Va regolamentato, ma non può essere considerato un mondo parallelo.
Ho suggerito di ripensare il modo in cui le locazioni turistiche brevi vengono gestite da un punto di vista
civile e fiscale. 

Attualmente, queste locazioni sono disciplinate da decreti, leggi regionali, adeguamenti
comunali e circolari dell’agenzia dell’entrate, che sostituiscono il vuoto legislativo. 

Ho proposto – conclude Capodiferro – di riaprire il tavolo sindacale che ci fu nel 2016, estendendolo al ministero del Turismo e alle associazioni rappresentative dei portali e del turismo, come Federturismo, Federalberghi. 

Questo tavolo potrebbe essere la base per una seconda parte dell’accordo nazionale che disciplina le locazioni turistiche brevi, mettendo dei paletti e regolamentando le questioni civili e fiscali. In questo modo si avrebbe un contesto normativo uniforme, con la possibilità di adeguamenti a livello territoriale>>. 

Per tutti questi motivi, Confabitare ritiene che si necessiti di un maggiore coordinamento a livello nazionale.

Si ringrazia: A. Zanni -Presidente Nazionale Confabitare

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La direttiva sulle case “green”: rischi e opportunità per una nuova politica industriale nel settore

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Le disposizioni individuano obiettivi da raggiungere per il miglioramento degli standard energetici. La riqualificazione del patrimonio italiano deve fondarsi su principi sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale

Il settore dell’edilizia è strategico per conseguire gli obiettivi dell’UE in materia di energia e clima per il 2030 e il 2050: in Europa, gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra. Per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 e diminuire i costi delle bollette energetiche che stanno incidendo nelle vite dei cittadini europei, il 15 dicembre 2021, la Commissione europea ha pubblicato una proposta di direttiva sull’efficienza energetica degli edifici. Lo scopo della direttiva è orientare il settore delle costruzioni in modo che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e che tutti gli edifici esistenti siano oggetto di interventi di riqualificazione per diventare a emissioni zero entro il 2050. La proposta di direttiva è stata approvata dal Consiglio dei Ministri dell’Energia, il 25 ottobre, con voto favorevole del Ministro Picchetto Fratin. Ora è al vaglio del Parlamento europeo che sta elaborando la propria posizione negoziale, in seno alla Commissione industria, energia e ricerca (cd. Commissione ITRE). Stiamo dunque parlando non di una norma europea già approvata, ma di una direttiva ancora in fase di approvazione. Discuterne in questa fase è estremamente utile: per l’impatto che essa avrà sul tessuto economico e sociale italiano e per tutelare i nostri interessi nelle sedi istituzionali europee. Questo è un tema culturale importante: quando parliamo di politiche europee, non stiamo parlando di politiche estere, ma di politiche interne. Oltre il 70% della normativa italiana non è altro che la trasposizione di obblighi già assunti nel quadro dell’UE. Dunque, se si vuole esercitare consapevolmente la sovranità nazionale bisogna saperlo fare nel contesto europeo, nel momento in cui si stanno assumendo decisioni che cambieranno il nostro futuro. La proposta di direttiva europea sulle case green impatterà su un bene sacro per tutti gli italiani: la casa.

Quali sono le novità che verranno introdotte dalla nuova normativa europea?                                                                            

In estrema sintesi, le principali disposizioni individuano obiettivi temporali da raggiungere per il miglioramento degli standard energetici degli edifici, distinguendo tra edifici di nuova costruzione e interventi di riqualificazione. Per gli edifici residenziali esistenti, gli Stati membri hanno convenuto di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050, come indicato nei loro piani nazionali di ristrutturazione edilizia. La traiettoria nazionale indica il calo del consumo medio di energia primaria dell’intero parco immobiliare residenziale durante il periodo 2025-2050, in modo da tenere traccia dei risultati conseguiti dai singoli Stati membri. Entro il 2030 il consumo medio di energia primaria dell’intero parco immobiliare residenziale dovrebbe risultare equivalente almeno alla Classe E, entro il 2033, alla classe energetica D, entro il 2040, a un valore determinato a livello nazionale derivato da un graduale calo del consumo medio di energia primaria dal 2033 al 2050 in linea con la trasformazione del parco immobiliare residenziale in un parco immobiliare a emissioni zero.

Gli Stati membri hanno convenuto di aggiungere agli attuali attestati di prestazione energetica (che ora vanno da G ad A) una nuova categoria “A0” che corrisponde agli edifici a emissioni zero (passive house) e avranno la facoltà di aggiungere una nuova categoria “A+” corrispondente agli edifici che, oltre a esser edifici a emissioni zero, offrono un contributo alla rete energetica da rinnovabili in loco (plus-in-house). La direttiva impone degli obblighi di risultato in capo agli Stati membri, lasciandoli liberi di scegliere i mezzi più opportuni per raggiungere i traguardi condivisi. Qui arriva la politica. Scegliere “come” fare, non stilare un elenco di buoni propositi e buone intenzioni. Negli ultimi anni la politica italiana ha cambiato 23 volte la norma relativa ai bonus dell’edilizia, generando un sistema caotico che ha determinato un aumento incontrollato dei prezzi delle materie prime e, più in generale, ha costretto il settore dell’edilizia a vivere nella “dittatura dell’emergenza”. Tutti gli operatori del settore avrebbero avuto invece bisogno di una politica industriale nell’edilizia, con un arco temporale medio (2030) e lungo (2050) per poter avere certezza degli investimenti e programmare ordinatamente gli interventi. Nonostante i propositi dei governi precedenti di rianimare un settore in crisi da anni e riqualificare il patrimonio residenziale pubblico e privato, gli interventi sono stati fallimentari. Il “Bonus facciate” è stato un volano di frodi fiscali: dalle audizioni della Guardia di Finanza nella Commissione Bilancio in Senato sono emersi 3,6 miliardi di euro di frodi accertate, lasciando presagire una dimensione del fenomeno elusivo ancora più grande. Il “Superbonus” nel 2022 ha impiegato 68,7 miliardi di risorse statali: più del doppio dello stanziamento previsto di 33,3 miliardi di euro. Pur avendo avuto rianimato un settore in crisi, con un impatto importante in termini di gettito fiscale prodotto e in termini occupazionali, con un aumento del numero degli addetti pari a circa 1 milione di lavoratori, il Superbonus ha determinato un’inefficace allocazione della spesa pubblica, perché a fronte di una mole enorme di risorse pubbliche investite ha generato miglioramenti effettivi dal punto di vista energetico e (ancor meno) dal punto di vista del consolidamento antisismico, solo su una piccola percentuale del patrimonio edilizio. Se utilizzassimo i parametri dei precedenti bonus, per riqualificare il patrimonio residenziale italiano, nel senso previsto dalla normativa europea, non basterebbero 1.300 miliardi di euro: quasi la metà dell’intero debito pubblico italiano! È del tutto evidente che bisogna intraprendere una strada nuova: la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici può essere l’occasione per ripensare globalmente il sistema edilizio in Italia. I target previsti dalla direttiva UE possono essere raggiunti sulle nuove costruzioni. Ma pensare di raggiungere gli obiettivi di adeguamento sulle riqualificazioni del patrimonio immobiliare esistente, senza garantire un margine di flessibilità, e senza garantire un fondo sociale green volto ad accompagnare la transizione per le fasce più deboli della popolazione, rischia di cagionare una perdita di valore degli immobili italiani e, di conseguenza, l’impoverimento generale delle nostre famiglie. Il pericolo va scongiurato attraverso strumenti e normative chiare e definite, che consentano il perseguimento di obiettivi realistici, anche attraverso la previsione di incentivazioni – concordate e finanziate a livello europeo – volte ad accompagnare la transizione ecologica. Per questo la politica ha l’occasione di uscire dalla logica dei bonus (a termine) e della gratuità (a carico della fiscalità generale) e imboccare la strada di una nuova politica industriale per avere strumenti economici e finanziari condivisi al fine di adottare un Piano di Edilizia 4.0 con la detrazione fiscale e un sistema regolamentato, al livello nazionale ed europeo, per la cessione dei crediti fiscali generati dall’adempimento della direttiva sulle case green, senza la possibilità di creare un sistema di “crediti fiscali incagliati” come quelli che oggi si trovano a fronteggiare moltissime PMI del settore, a rischio di fallimento. Una nuova politica industriale nel settore dell’edilizia è fondamentale per disegnare una traiettoria nazionale credibile, in linea con la progressiva ristrutturazione del parco immobiliare: il sostegno finanziario per gli interventi di riqualificazione deve avere carattere di selettività per rendere prioritari gli interventi in abitazioni residenziali con i redditi ISEE più bassi, su edifici immobiliari che risultano più inquinanti (classe G), e poi salire di classe energetica, seguendo i criteri temporali previsti dalla normativa europea. Per fare questo è necessario coinvolgere sin da subito il sistema bancario, creditizio e assicurativo. Del resto, l’eventuale inadempimento degli obblighi previsti dalla direttiva porterebbe non solo all’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti dello Stato, ma a una pesantissima svalutazione del patrimonio immobiliare detenuto direttamente e indirettamente non solo dagli italiani, ma da tutto il sistema bancario, creditizio e assicurativo. In conclusione, la riqualificazione del patrimonio edilizio italiano deve fondarsi su obiettivi sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale: solo così la transizione ecologica non verrà percepita come un’imposizione ideologica, ma può diventare un passaggio condiviso, un investimento per il presente e per le generazioni future, con obiettivi realistici per conseguire il livello ottimale in funzione dei costi.

Articolo estratto dal Periodico Confabitare

Si ringrazia

Senatore Marco Lombardo